Lei apre gli occhi come se le costasse un grande sforzo. Lui sa che è così, che le costa uno sforzo immenso, ma non lo direbbe mai, non si permetterebbe mai di farlo notare. Lei si solleva, gli tende le braccia, cerca il suo calore, smette di tremare. Si allontanano dalla camera vacillando, abbracciati, sorridendo appena. Lui le offre un calice, ma lei lo rifiuta con un soave gesto della mano. Poi si siede, chiude gli occhi, torna ad aprirli, attira la mano di lui e la appoggia sul suo seno. C’è una musica lenta, a basso volume. È un pianoforte soave e quasi impercettibile. Lui vorrebbe baciarla, desidera baciarla, ma aspetta alcuni secondi. Quando alla fine lo fa, nota che lei continua a tremare.
Torna a offrirle il calice. Questa volta lei accetta. Allunga la mano e, lentamente, vuota il liquido sulle ginocchia di lui. Lui non dice nulla, la osserva. Il pianoforte suona adesso un po’ più forte. Lei trema. Riprendono a baciarsi, con dolcezza, ma solo pochi istanti. Di colpo lei si irrigidisce e si scosta con violenza. Lui si rattrappisce, guarda i suoi occhi terrorizzati. Lei boccheggia, inghiotte aria con disperazione, emette alcuni suoni terribili. Lui chiude i pugni, stringe i denti, lotta con un grosso nodo che cerca di formarsi nella sua gola.
Tentando di dissimulare i suoi dolorosi sentimenti, si accosta a lei e la bacia sulla guancia, con soavità e tenerezza. Lei allontana un poco la testa, lo guarda per l’ultima volta con l’orrore nello sguardo e comincia a lottare con il respiro, che si trasforma in orribili rantoli. Lui capisce che il tempo è terminato, che è arrivato il momento.
Accarezza i suoi capelli, la sua fronte, le sue guance, la sua nuca, fino ad arrivare al contatto che le hanno fissato alla base del cranio. La spegne. Lei cade come una bambola, lui la afferra e la alza come un bambino. La porta nella camera di congelamento, la adagia, chiude la porta, tenta di non piangere. La musica si smorza, termina, svanisce. Silenzio.
Lui preme i pulsanti e rimane a guardare la faccia di sua moglie fino a che la coperta plastica si appanna. Poi torna nella sala, si siede su una poltrona, beve un bicchiere dopo l’altro, in silenzio. Lei è morta, ma non da quel momento: è morta da molti mesi. Il rianimatore neurale che le hanno impiantato ha svolto la sua funzione, una funzione per la quale ha pagato con tutto, tutto quel che aveva. E anche se adesso vorrebbe gridare e colpire qualcuno fino ad ucciderlo, in realtà non può lamentarsi: il sistema ha funzionato, il suo scopo era di darle alcune ore in più da condividere prima che i neuroni di lei si esaurissero, e questo è esattamente quello che il sistema ha fatto.
La prima volta che la destò parlarono a lungo, ascoltarono musica e poi fecero all’amore. La seconda volta lei si sentiva molto stanca, così che rimasero nella camera e tornarono ad amarsi, con tranquillità, soavemente. La terza volta poterono solo conversare e baciarsi un paio di volte. La quarta si scambiarono appena poche parole, accarezzandosi. La quinta volta, così come spiegava la parte del manuale di cui lui non aveva voluto tenere conto, le sue cellule cerebrali si erano esaurite e lei, allora sì, dovette morire per la seconda, per l’ultima volta.
Eduardo Carletti
Publicado en 7° Inchiostro n. 10.
Torna a offrirle il calice. Questa volta lei accetta. Allunga la mano e, lentamente, vuota il liquido sulle ginocchia di lui. Lui non dice nulla, la osserva. Il pianoforte suona adesso un po’ più forte. Lei trema. Riprendono a baciarsi, con dolcezza, ma solo pochi istanti. Di colpo lei si irrigidisce e si scosta con violenza. Lui si rattrappisce, guarda i suoi occhi terrorizzati. Lei boccheggia, inghiotte aria con disperazione, emette alcuni suoni terribili. Lui chiude i pugni, stringe i denti, lotta con un grosso nodo che cerca di formarsi nella sua gola.
Tentando di dissimulare i suoi dolorosi sentimenti, si accosta a lei e la bacia sulla guancia, con soavità e tenerezza. Lei allontana un poco la testa, lo guarda per l’ultima volta con l’orrore nello sguardo e comincia a lottare con il respiro, che si trasforma in orribili rantoli. Lui capisce che il tempo è terminato, che è arrivato il momento.
Accarezza i suoi capelli, la sua fronte, le sue guance, la sua nuca, fino ad arrivare al contatto che le hanno fissato alla base del cranio. La spegne. Lei cade come una bambola, lui la afferra e la alza come un bambino. La porta nella camera di congelamento, la adagia, chiude la porta, tenta di non piangere. La musica si smorza, termina, svanisce. Silenzio.
Lui preme i pulsanti e rimane a guardare la faccia di sua moglie fino a che la coperta plastica si appanna. Poi torna nella sala, si siede su una poltrona, beve un bicchiere dopo l’altro, in silenzio. Lei è morta, ma non da quel momento: è morta da molti mesi. Il rianimatore neurale che le hanno impiantato ha svolto la sua funzione, una funzione per la quale ha pagato con tutto, tutto quel che aveva. E anche se adesso vorrebbe gridare e colpire qualcuno fino ad ucciderlo, in realtà non può lamentarsi: il sistema ha funzionato, il suo scopo era di darle alcune ore in più da condividere prima che i neuroni di lei si esaurissero, e questo è esattamente quello che il sistema ha fatto.
La prima volta che la destò parlarono a lungo, ascoltarono musica e poi fecero all’amore. La seconda volta lei si sentiva molto stanca, così che rimasero nella camera e tornarono ad amarsi, con tranquillità, soavemente. La terza volta poterono solo conversare e baciarsi un paio di volte. La quarta si scambiarono appena poche parole, accarezzandosi. La quinta volta, così come spiegava la parte del manuale di cui lui non aveva voluto tenere conto, le sue cellule cerebrali si erano esaurite e lei, allora sì, dovette morire per la seconda, per l’ultima volta.
Eduardo Carletti
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